Chief Technology Officer, CISO, Chief Innovation Officer, Chief Data Officer, Chief AI Officer…le figure senior che affiancano il CIO si stanno moltiplicando per effetto delle normative e delle evoluzioni tecnologiche. Se, nelle piccole-medie imprese, è ancora il Chief Information Officer ad accorpare le diverse responsabilità, nelle medio-grandi la separazione dei ruoli è già avvenuta e impone un lavoro di squadra per evitare attriti o rallentamenti. Il CIO, lungi dal perdere di importanza, diventa l’orchestratore di una collaborazione che converge sugli obiettivi di innovazione e qualità del servizio ai clienti interni ed esterni.

Il Chief Information Officer è, spesso, più di un semplice CIO. In media, su scala globale, un CIO copre 1,8 posizioni diverse (secondo il sondaggio State of the CIO 2025 [in inglese] condotto da Foundry). Questo vuol dire che, se alcuni si fermano al ruolo di CIO, molti altri sono anche un CTO (Chief Technology Officer), un CISO (Chief Information Security Officer) o un COO (Chief Operating Officer). Qualcuno è anche un Chief Innovation Officer, senza contare che, nella maggior parte dei casi, il CIO ingloba in sé le responsabilità sulla gestione dei dati e delle tecnologie AI e, quindi, le funzioni di Chief Data Officer e del Chief AI Officer.
Nelle aziende più grandi o strutturate queste posizioni sono separate. Il CIO è affiancato dal Chief Technology Officer e/o dal Chief Innovation Officer; anche il CISO può essere una figura distinta. Come gestire il rapporto con i colleghi della tecnologia in modo da non invadere il territorio altrui e collaborare proficuamente?
“Più l’impresa è articolata, più troviamo figure distinte per il CIO e il CTO. Il primo si occupa più della gestione strategica e operativa delle tecnologie IT, curando efficienza, sicurezza e supporto al raggiungimento degli obiettivi di business. Rappresenta l’ombrello che governa non solo la strategia tecnologica, ma l’impatto più ampio della tecnologia sull’organizzazione”, spiega Claudio Rorato, Senior Advisor Strategia-Digital Transformation, Direttore Scientifico e Direttore Osservatorio Professionisti e Direttore Osservatorio PMI del Politecnico di Milano. “Il CTO, invece, è più proiettato sullo sviluppo e la ricerca di nuove tecnologie per sostenere la crescita e la competitività aziendale. È ovvio che, laddove esistano, le due figure devono dialogare strettamente tra loro, per assicurare capacità di raggiungere gli obiettivi strategici. Nelle realtà grandi più articolate possiamo trovare anche l’Innovation Manager, che è trasversale ai diversi processi aziendali: stimola il processo innovativo e facilita la gestione del cambiamento”.
Il CIO e la sua squadra di manager
State of the CIO 2025 rileva che, nelle aziende globali, ci sono spesso delle figure manageriali che si affiancano al CIO. Metà degli intervistati del 2025 ha anche un CTO al suo fianco. I Chief Information Security Officer (CISO) sono ormai comuni in quasi un terzo (31%) delle imprese e il 22% ha anche un Chief Data Officer (CDO) nel team esecutivo. Solo il 14%, invece, ha istituito una posizione di Chief AI Officer.
CTO, Chief Innovation Officer e CDO di solito riportano al CEO, così come i Chief AI Officer, mentre i CISO in parte riportano al CEO e in parte al CIO. Sebbene molti di questi nuovi ruoli non rientrino in una struttura di riporto diretto al CIO, i loro budget per la tecnologia rimangono parte della spesa IT complessiva. L’unica eccezione degna di nota è il Chief AI Officer, che in metà dei casi ha la supervisione di un budget separato.
Alessandro Ghizzardi, CTO di Softec(web agency e system integrator), ci spiega come il CIO e il CTO possono dividersi i compiti: in Softec, il primo si occupa dell’infrastruttura interna e del cliente e ha anche compiti di CISO, il secondo (Ghizzardi stesso) si occupa di delivery (sviluppo e produzione) e project management.
“La convivenza dipende dalla velocità a cui si va: lo sviluppo non deve frenare l’infrastruttura e viceversa”, dichiara Ghizzardi. “Le due parti sono indispensabili per il go to market e non devono ostacolarsi ma collaborare – non darsi la colpa a vicenda, ma risolvere costruttivamente i conflitti”.
Le tempistiche sono fondamentali, ribadisce Ghizzardi.
“Per esempio, in un progetto di UX, come CTO mi occupo di predisporre il progetto e i test, ma poi c’è l’infrastruttura che sorregge tutto, di cui si occupa il CIO. E dobbiamo procedere in tandem, senza che l’infrastruttura rallenti”, spiega il manager. “D’altro canto, in un’attività di vulnerability assessment, se occorre una patch immediata, l’infrastruttura prende il sopravvento sul delivery”.
Un lavoro di squadra
“Come in tanti settori in continua evoluzione, anche in tecnologia c’è stato bisogno di maggiore specializzazione e focalizzazione in aree specifiche, proprio come accade nella medicina: al posto di un solo medico generico, ci sono tanti specialisti”, commenta Gabriella Vacca, ex CIO e CTO di grandi gruppi dei media. “Anzi, con la specializzazione, sono nate anche figure professionali che fanno da ponte tra le varie aree specialistiche della medicina e studi adiacenti, come la connessione mente-corpo e le influenze ambientali. Nella leadership tecnologica è successo qualcosa di simile: negli ultimi trent’anni si sono formate figure specializzate, sia nelle singole tecnologie che nei livelli di leadership”.
Se, dunque, in passato bastava il CIO per coprire i diversi ruoli tecnologici, in seguito è arrivato il CTO, più focalizzato sui prodotti e i servizi verso l’esterno. E si è presto capito che le due figure hanno elementi comuni e di collegamento.
“Il CTO tende ad essere più focalizzato sui prodotti e servizi verso il cliente finale e può anche non avere responsabilità operative. Queste ultime spettano al CIO, che tratta le aree dei processi, dell’efficienza e della cybersicurezza”, afferma Vacca, che per molti anni ha lavorato negli Stati Uniti. “A volte il CTO riporta al CIO, altre volte è il contrario. Nel tempo i due ruoli si sono mescolati e sono emerse nuove figure: per esempio, il Chief Data Officer e il Chief Innovation Officer, che sono più specialistiche e fanno da ponte tra le aree tecniche e di business. Infatti, spesso il Chief Data Officer non riporta al CIO o al CTO, ma direttamente al CEO, perché gestisce i dati delle piattaforme che sono usate in tutta l’organizzazione e il suo ruolo è trasversale”.
L’importante, perciò, è che tutte queste figure si parlino tra loro, si integrino e facciano squadra, e che lo stesso modello sia esportato nel business, prosegue Vacca. Secondo la manager, la tecnologia deve essere gestita come “a business for the business”: ovvero i principi di business devono valere anche per la tecnologia e la tecnologia deve servire per gestire e far crescere il business; la tecnologia crea valore solo se ben gestita (da CIO e CTO) e realmente utilizzata (dal business o dagli utenti esterni).
“Negli Stati Uniti l’organizzazione di questi ruoli funziona molto diversamente”, osserva Vacca. “Confrontandomi con la mia rete di conoscenze ho visto che il mio stesso lavoro di CTO in Italia corrispondeva a un CIO in America. Ma il quadro è fluido: lo stesso CTO sta subendo un’evoluzione strategica e sta diventando più simile al CIO, meno tecnico e più di alto livello. L’aspetto
fondamentale rimane poter lavorare insieme in modo efficiente ciascuno nelle proprie aree di responsabilità, tenendo come principi-guida il purpose e il cliente finale, che sia interno o esterno. Non si lavora da soli e di geni visionari ce ne sono pochi al mondo. Con la giusta collaborazione e allineamento sugli obiettivi dell’azienda, il CIO, CTO, CDO e le altre figure creeranno valore, gestiranno i rischi e faranno in modo che l’azienda sia pronta per il futuro”.
È il CIO che orchestra la collaborazione di successo
Anche su CIO Italia abbiamo avuto modo di sottolineare la trasformazione del ruolo del Chief Information Officer. Un tempo era un leader che guidava solo la strategia tecnologica, mentre ora il suo ruolo è più quello di uno stratega aziendale. Come tale, deve mettersi in stretta relazione con gli altri manager della tecnologia e del business.
Man mano si moltiplicano le posizioni senior nel settore tecnologico, le aziende devono trovare il modo di riunire le conoscenze e le esperienze di questi leader digitali e creare connessioni che garantiscano che l’innovazione porti a un valore aziendale. Ed è spesso compito del CIO-stratega orchestrare una collaborazione di successo.
“I leader digitali devono essere meno isolati e adottare un approccio collaborativo e consultivo”, dichiara Ankur Anand, CIO presso Nash Squared, fornitore globale di soluzioni tecnologiche e di talento. “In passato, il CIO, il CDO e il CTO potevano competere per ottenere influenza. Ora, il successo consiste nel trovare la forza nella collaborazione”.
Un esempio italiano è quello di Mariangela Colasanti, Head of Innovation di BWH Hotels Italy & South-East Europe. Colasanti è il capo del reparto Innovazione e, in questo ruolo, segue la crescita del Gruppo e partecipa allastrategia, interfacciandosi con interlocutori interni all’organizzazione dalle diverse aree di Operations e Technology, tra cui il Director of Dev. & Digital, Stefano Lombardi, e il Director of ICT & Information Security, Guido Brucellaria, che cura l’integrazione dei sistemi interni e della cybersicurezza. L’azienda ha così costruito una solida struttura organizzativa ed è molto attenta alla trasformazione digitale, che dà sostegno e solidità allo sviluppo del business.
“I nostri stakeholder di riferimento sono gli ospiti e gli albergatori”, spiega Colasanti. “Nel team Innovazione selezioniamo e progettiamo strumenti digitali da fornire agli albergatori e per gli albergatori verso i loro ospiti, con l’obiettivo di migliorare l’esperienza lungo tutto il customer journey: dal marketing ai touchpoint digitali che semplificano la prenotazione, personalizzano il soggiorno e facilitano pagamenti o servizi extra. Abbiamo introdotto anche in camera un punto di contatto digitale grazie ad Alexa for Hospitality, un concierge vocale basato su intelligenza artificiale. L’obiettivo è mantenere viva la conversazione con l’ospite anche oltre la reception, valorizzando la relazione e rafforzando la fidelizzazione, in particolare per i membri del nostro programma loyalty. Sul fronte degli albergatori, offriamo strumenti che li aiutano a operare in modo più efficiente con il Gruppo BWH e con i propri clienti, analizzando dati e performance per ottimizzare ricavi, semplificare le operazioni e migliorare la soddisfazione dell’ospite. Come Head of Innovation, ho la fortuna di lavorare in un contesto dinamico, fatto di collaborazioni trasversali, sinergie strategiche e team tecnici di alto livello”.
Quando il CTO accorpa le funzioni del CIO
Nel caso di AVR (gruppo che opera nei settori dell’igiene urbana, delle gestioni, manutenzioni e costruzioni di strade e opere in verde, degli impianti di selezione, trattamento e stoccaggio rifiuti e delle bonifiche di siti contaminati), in azienda non è presente alcun CIO e questa funzione è rappresentata dal CTO Pierangelo Perdomi.
“Storicamente, in AVR la Direzione IT non ha avuto una denominazione in linea con la terminologia aziendale moderna: la figura di riferimento era quella del responsabile IT”, spiega Perdomi. “Dal mio arrivo nel 2022, invece, è stata data piena dignità sia alla Direzione sia al ruolo del CTO, riconoscendo a questa funzione un perimetro più ampio e strategico, a diretto riporto del CEO”.
La distinzione “da manuale” tra CIO e CTO – prosegue Perdomi – indica che il Chief Information Officer è la funzione che si concentra sull’efficienza interna e sulla gestione dell’infrastruttura IT esistente, con l’obiettivo di ottimizzare le operazioni aziendali, mentre il Chief Technology Officer guida la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, contribuendo all’innovazione dei prodotti, dei servizi e del vantaggio competitivo.
“In sintesi, il CIO è il custode interno della tecnologia, mentre il CTO è il costruttore esterno e innovativo”, afferma Perdomi. “Nel caso di AVR, è stato creato un vero e proprio mercato – la Business Unit Technology and Engineering – che ha come missione non solo l’efficientamento dell’infrastruttura interna, ma anche e soprattutto la promozione di prodotti e servizi tecnologici verso clienti esterni, naturalmente in misura proporzionata alle dimensioni del nostro gruppo”.
Una nuova figura: il Fractional Manager
C’è un ulteriore assetto manageriale che si può verificare, non frequente, ma in crescita: l’affiancamento di un Fractional Manager. In aziende di dimensioni medio-grandi può capitare che il CIO non riesca ad occuparsi di progetti di ampia portata – per esempio, l’implementazione di un nuovo ERP o un B2B/B2C in contesti multicountry – e che, al suo fianco, intervenga un Fractional Manager nella veste di project manager o di program manager (un singolo progetto oppure progetti correlati tra di loro). Il suo compito è circoscritto e il CIO mantiene la supervisione, o il ruolo di steering leader, mentre le funzioni operative, il rapporto con il team interno e la gestione dei fornitori e dei consulenti passano al Fractional Manager.
“In questi casi la collaborazione col CIO funziona bene, non c’è attrito. Anzi è il CIO che chiede il supporto del Fractional Manager, gli assegna i compiti e fa da sponsor al progetto”, afferma Roberto Zanna, ex CIO di aziende italiane di diverse industry (dalla manifattura alla moda alla GDO) e oggi Fractional Manager.
Nella sua passata esperienza di CIO, Zanna ha avuto un CTO a riporto. In questo assetto, il CIO era più orientato alle tematiche progettuali e di business, mentre il CTO si occupava della parte tecnica e della gestione delle persone. Esisteva anche un Chief Innovation Officer, prima a riporto del CIO Zanna, ma poi passato sotto il CEO.
“Una figura che sta guadagnando importanza è il CISO, soprattutto oggi con l’entrata in vigore della NIS2”, prosegue Zanna. “Molte volte il CISO dipende direttamente dal CdA, perché le tematiche della sicurezza sono trasversali e strategiche. Ma queste distinzioni sono tipiche delle aziende grandi, non di quelle medio-piccole. Tuttavia, credo che le figure manageriali intorno al CIO siano destinate a crescere, perché la normativa europea e l’avanzamento tecnologico moltiplicano responsabilità e specializzazioni e il CIO non può fare tutto da solo”.
La collaborazione resta la parola chiave e dipende dall’avere una grande armonia all’interno del gruppo manageriale e dalla chiara definizione del perimetro di azione e di autonomia di ciascuno.
Nelle imprese più piccole, invece, la figura che si occupa di IT è unica e nelle piccolissime, a volte, nemmeno esiste.
“Non ha senso parlare di CIO in alcune imprese”, conferma Zanna. “Le piccolissime spesso non hanno questa figura e, come Fractional Manager, mi capita di intervenire per introdurre le tematiche di digitalizzazione strategica e per dialogare più efficacemente col business. Il fractional è come un CIO part-time o un vero e proprio Advisor in ambito IT and Digital: si occupa di più clienti e frequenta aziende diverse su temi diversi; così viene incontro alle esigenze delle piccole imprese di avere un manager con elevata seniority ma senza i costi di un CIO assunto come dipendente. Laddove non c’è alcun IT Manager interno, mi capita addirittura di fare il coaching manageriale, per portare competenze su governance, cybersecurity, e altre tematiche non strettamente tecniche”.
Come convivere pacificamente con un manager che arriva dall’esterno? Nelle piccole imprese bisogna vincere la naturale resistenza al cambiamento, mentre in quelle di medie dimensioni, dove è presente un IT Manager con caratteristiche più tecniche che strategiche, il “CIO part-time” dovrà far comprendere che non è lì per prendere il suo posto, ma per aiutare e poi farsi da parte. Insomma, è lì per aiutare l’IT Manager a diventare progressivamente un CIO e salire di competenze relazionali e di ruolo per evolvere in un leader più moderno.